Consiglio di Stato: freni alla risarcibilità del mancato utile

La sezione V del Consiglio di Stato ha recentemente affrontato la nota e dibattuta questione dell'entità del mancato utile riconoscibile in caso di mancata aggiudicazione di un appalto.
La sentenza (17 ottobre 2008 n. 5098) non aderisce al prevalente orientamento del medesimo Collegio, secondo cui al fine di quantificare il lucro cessante subito dall’impresa per la mancata aggiudicazione di un appalto (ovvero il mancato utile che avrebbe ritratto dal contratto), in caso di giudicato che riconosca la lesione di interessi legittimi c.d. "a risultato garantito", sarebbe ammissibile liquidare, a titolo di danno presunto ed in via equitativa, una percentuale pari al 10% del prezzo a base d’asta, a i sensi dell’art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F.
La mancata condivisione di tale tesi è diretta conseguenza della rilevata circostanza che il criterio del dieci per cento è desunto da alcune disposizioni in tema di lavori pubblici, che riguardano però altri istituti, come l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’amministrazione committente o la determinazione del prezzo a base d’asta.
Si legge nella sentenza che tale riferimento, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale. In tal modo il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe di meno.
Ulteriore difetto di tale tecnica risarcitoria (come si registra nella prassi giudiziaria, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1513) è che obbliga i giudici più sensibili a moltiplicare gli sforzi per trovare correttivi che rendano meno evidenti gli ingiustificati esborsi a carico della finanza pubblica; in quest’ottica, a titolo di esempio, è ricorrente la massima secondo cui l’utile conseguibile dall’impresa nella misura forfetaria del 10% deve essere decurtato ove l’impresa non dimostri di non aver potuto utilizzare diversamente le maestranze ed i propri mezzi per l’espletamento di altri servizi.
Tali escamotages – prosegue il Consiglio di Stato - offrono un rimedio inappagante perché scontano il vizio d’origine del costrutto argomentativo che nasce all’interno della logica indennitaria e non si concilia affatto con il regime della prova nel sistema della responsabilità civile in genere e della p.a. amministrazione in particolare. Appare preferibile – conclude sul punto la pronuncia - l’indirizzo minoritario che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto; prova desumibile, in primis, dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2005, n. 1563; sez. VI, 4 aprile 2003, n. 478).