E’estremamente riduttivo e non trova un riscontro nella lettera della norma il limitare la possibilità di desumere l’esistenza di situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa e l’emanazione delle informative interdittive del Prefetto ai soli casi di cui alle lett. a) e b) dell’art. 10, comma 7, del D.P.R. n. 252 del 1998.
Ai sensi dell’art. 10, comma 7, lett. c) del D.P.R. n. 252 del 1998, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa possono essere desunte anche “dagli accertamenti disposti dal Prefetto”, che deve effettuare una valutazione sulle scelte e sui comportamenti dell’imprenditore, al fine di adottare una misura che ha carattere cautelare.
In caso di archiviazione, i fatti oggetto di un procedimento penale mantengono una loro idoneità ad essere indicati a presupposto di una informativa antimafia.
Un fatto delittuoso per il quale deve essere data prova perché in sede penale intervenga una condanna mantiene un suo carattere indiziario e può essere valido elemento di dimostrazione dell’esistenza di un pericolo di collegamento fra impresa e criminalità organizzata e di contiguità mafiosa (non configurata come fattispecie criminosa dal codice penale), essendo diversi i piani su cui muovono l’autorità giudiziaria e quella amministrativa.
Il riferimento dell’art. 4, comma 4, della l. n. 490 del 1994 agli “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa” non trova una corrispondenza nella nozione penalistica di tentativo (art. 56 c.p.) perché non sussiste un reato di “infiltrazione mafiosa”; tuttavia, nello svolgimento di funzioni di prevenzione e di “tutela avanzata” dell’ordine pubblico e della sicurezza, il Prefetto deve aver riguardo a situazioni “potenzialmente pericolose” .
Invero, senza dover provare la intervenuta infiltrazione, deve essere sufficientemente dimostrata la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza in un’impresa della malavita organizzata.
Di conseguenza, secondo un principio pacifico e non controverso, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione rimessa alla discrezionalità dell’organo (nel caso che ricorre, del Prefetto) che esercita una funzione attribuitagli dalla legge, deve limitarsi unicamente alla verifica di eventuali vizi della funzione che rivelino i sintomi di una illogicità manifesta o di un travisamento dei fatti (Consiglio di Stato, Sez. V, 26 novembre 2008, n. 5846).
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