La clausola dell’avviso, a mezzo della quale l’Amministrazione ha previsto l’esclusione dell’impresa che versi in una situazione di contenzioso con la Stazione appaltante, si configura come introduttiva di una condizione generale preclusiva per l’accesso alla gara, non prevista dalla normativa vigente (nella fattispecie art. 75 del D.P.R. n. 554/1999, nel testo introdotto dall’art. 2 del D.P.R. n. 412/2000, ora articolo 38 del D.lgs. 163/2006), che elenca le diverse ipotesi impeditive della partecipazione.
E’ quanto asserito dal Consiglio di Stato (Sez. V, 21 aprile 2009, n. 2399), il quale ha altresì rilevato che - essendo le prescrizioni di cui sopra inspirate a ragioni di ordine e sicurezza pubblica, incidenti sulla sfera di capacità dell’imprenditore ad acquisire la qualità di affidatario di lavori pubblici - l’introduzione di ulteriori limiti oltre quelli stabiliti dal diritto comunitario (DIR. CE n. 92/50 e relativo recepimento) resta riservato al Legislatore nazionale, così che i casi previsti dalla disposizione in esame hanno carattere tassativo e non possono essere integrati “ad libitum” dalla stazione appaltante (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 19 luglio n. 4060; Cons. di Stato, Sez. VI, 5 giugno 2003, n. 3124).
I giudici di Palazzo Spada sottolineano altresì che, sotto un altro profilo, la clausola dell’avviso si pone in contrasto con l’art. 24 Cost., che riconosce la piena tutela in giudizio dei diritti ed interessi (in tal senso, Cons. di Stato, Sez. VI, 19 luglio 2007, n. 4060 cit.) e con l’art. 41 Cost. relativo ai diritti di iniziativa e economica e di libertà di impresa.
La semplice esistenza di un contenzioso in atto, infatti, non è affatto indice della inaffidabilità dell’impresa, potendo la lite chiudersi a favore della stessa, per cui la clausola in contestazione non è finalizzata alla selezione qualitativa dei partecipanti - non avendo alcuna proiezione sul terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa - essendo piuttosto rivelatrice di una univoca finalità di penalizzazione.
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