Ai fini della configurabilità di una falsa dichiarazione, l'aver omesso di segnalare alla stazione appaltante l'esistenza di una "sentenza di condanna passata in giudicato" (ex art. 38 c. 1 lett. c D.lgs. n. 163/06) e un atto di risoluzione contrattuale unilateralmente disposto da una precedente stazione appaltante sono fattispecie eterogenee, e non equiparabili.
È quanto affermato in una sentenza del TAR Lombardia (Milano, Sez. I, 19 gennaio 2010 n. 76), nella quale è evidenziato che ciò di cui l'art. 38 c. 1 lett. c) richiede la segnalazione, a pena di falsità della relativa dichiarazione, è un provvedimento di estremi certi, emanato da una determinata autorità giudiziaria, in una certa data, che accerta la sussistenza di una delle fattispecie tassativamente previste dalla legge penale ed irroga, conseguentemente, una determinata sanzione.
Ai fini del rilascio delle relative dichiarazioni, e della loro falsità in caso di omissione, l'aver commesso un "errore grave" nell'esercizio della propria attività professionale (art. 38 c. 1 lett. f D.lgs. n. 163/06), non è equiparabile all'aver commesso un reato, in quanto nel primo caso si è in presenza di un mero concetto giuridico indeterminato, potendo mancare l'esistenza di un provvedimento che ne dichiari la sussistenza. In altre parole, se vi è un reato, c'è un provvedimento penale che ne accerta l'esistenza e vi è un obbligo di sua segnalazione, mentre una tale correlazione può difettare in caso di commissione di "errore grave", poiché può mancare, come nel caso di specie, un provvedimento che ne accerti la sussistenza.
Ad esempio, l'atto unilaterale di risoluzione contrattuale ben potrebbe essere successivamente contestato ed annullato in sede giurisdizionale, con efficacia ex tunc, rendendo così, sine titulo, l'esclusione a suo tempo disposta per falsa dichiarazione, in capo al concorrente che avesse contestato con successo l'esistenza di un "grave errore professionale". |