Consiglio di Stato: al bar con il mafioso ...


Ancora una pronuncia di Palazzo Spada (Consiglio di Stato sez.VI 11 dicembre 2009 n. 7777) in materia di informazione prefettizia atipica.

 

Afferma il Consiglio di Stato che l'informativa atipica non ha carattere interdittivo, ma permette l'attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità nel valutare l'avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali alla luce dell'idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con l'Amministrazione.

 

Ne deriva che essa non necessita di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso e si basa su indizi, ottenuti con l'ausilio di particolari indagini che possono risalire anche a eventi verificatisi a distanza di tempo, perché riguardano la valutazione sull'idoneità morale del concorrente e non producono l'esclusione automatica dalla gara (in tal senso si era espresso il medesimo Consiglio Stato sez. V, con sentenza del 31 dicembre 2007, n. 6902).

 

Dette informative rappresentano, dunque, una sensibile anticipazione della soglia dell'autotutela amministrativa a fronte di possibili ingerenze criminali nella propria attività: da tale impostazione, si è fatta discendere la conseguenza che "l'informativa prefettizia antimafia di cui all'art. 4 del d.lg. 8 agosto 1994 n. 490 e all'art. 10, d.p.r. 3 giugno 1998 n. 252 è espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto con la criminalità organizzata, e prescinde quindi da rilevanze probatorie tipiche del diritto penale, per cercare di cogliere l'affidabilità dell'impresa affidataria dei lavori complessivamente intesa" (Consiglio Stato , sez. VI, 17 maggio 2006, n. 28).

 

Nella stessa pronuncia è inoltre affrontata la questione della valutazione della condotta ai fini della integrazione o meno di una fattispecie rilevante per l'emissione di una informazione atipica.

 

Si legge nella sentenza che, in tema di misure di prevenzione, le prescrizioni accessorie al provvedimento impositivo della sorveglianza speciale, indicate al comma 3 dell'art. 5 della l. n. 1423 del 1956 e soggette, in caso di inosservanza, alla sanzione di cui al comma 1 del successivo art. 9, sono costituite dal generico obbligo di "non dare ragione di sospetti" e dallo specifico divieto di "associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne".

 

Pertanto, pur al di fuori di relazioni con carattere di stabilità e di comportamenti connotati di abitualità, l'incontro con pregiudicati può integrare il reato, purché assuma carattere di ripetitività tale da cagionare allarme nell'Autorità, non essendo ragionevolmente assoggettabile a sanzione una condotta del tutto isolata e dipendente da normali e non programmate vicende della vita di relazione (a tal proposito è richiamata una pronuncia della Cassazione penale sez. I, 22 settembre 1999, n. 13886, nella quale è affermata la responsabilità dell'imputato in ragione della frequenza degli incontri, i quali integrano la violazione solo nel loro insieme e per effetto della reiterazione, ma non isolatamente considerati).

 

Al contempo, con riferimento alle conseguenze che possono ridondare su un esercizio commerciale, ove frequentato da malavitosi, è bene rammentare che, in un recente passato, la giurisprudenza amministrativa ha rilevato che l'art. 100 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, rimasto in vigore anche dopo la promulgazione della legge 25 agosto 1991, n. 287 regolatrice dell'attività dei pubblici esercizi, prevede il potere del questore di sospendere la licenza di pubblico esercizio quando nell'esercizio medesimo siano avvenuti tumulti o gravi disordini, oppure esso sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose, oppure esso costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. Il provvedimento ex art. 100, r.d. 773/1931 ha prevalente natura di misura cautelare, con finalità di prevenzione rispetto ai pericoli che possono minacciare l'ordine e la sicurezza pubblica.

 

Esso prescinde, pertanto, dall'accertamento della colpa del titolare del pubblico esercizio (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 21 ottobre 2002, n. 6521), essendo prevalente la finalità dissuasiva della frequentazione malavitosa indotta dal periodo di chiusura obbligatoria dell'esercizio stesso (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 18 agosto 2003, n. 567).