E' discriminatoria la clausola volta ad escludere dalla gara l'impresa oggettivamente idonea solo perché essa è controparte della stazione appaltante in una controversia.
Lo afferma il TAR Umbria (18 giugno 2010 n. 378), secondo il quale è sufficiente considerare che, con un criterio così formulato, la discriminazione opera anche se si tratti di azione esercitata infondatamente e pretestuosamente dal Committente ovvero di azione esercitata dal privato alla quale il Committente infondatamente e pretestuosamente resiste.
Nella prima ipotesi, si attribuirebbe al Committente il mezzo di creare artatamente il presupposto per escludere una determinata impresa, a proprio arbitrio.
Nella seconda (azione esercitata dal privato, alla quale il Committente infondatamente resiste), si mette il privato in condizioni di dover rinunciare all'esercizio del proprio diritto, se non vuol essere escluso da ogni futuro contratto.
Ma in verità la discriminazione appare illegittima, anche quando non sia manifesta l'eventuale infondatezza della posizione processuale della stazione appaltante attrice o convenuta.
Ciò che può giustificare l'esclusione di un'impresa non è la pendenza di un giudizio, ma, semmai, le caratteristiche del fatto che ha dato origine al contenzioso.
In buona sostanza, la P.A. ha un adeguato strumento per tutelarsi, applicando l'art. 38, comma 1, lettera (f) del codice dei contratti.
Questa disposizione consente (o impone) di escludere dalle gare le imprese "che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante". |