La violazione della clausola (e del principio) di "stand still", in sé considerata, e cioè senza che concorrano vizi propri dell'aggiudicazione, non comporta l'annullamento dell'aggiudicazione o l'inefficacia del contratto: nel sistema normativo oggi in vigore, a tale conclusione conduce necessariamente l'esegesi dell'art. 121, comma 1, lett. "c" del c.p.a., a norma del quale "il giudice che annulla l'aggiudicazione" dichiara obbligatoriamente l'inefficacia del contratto laddove (e, dunque, solamente se) la violazione dell'art. 11, comma 10-ter, del D.lgs. n. 163/06 "abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto" e sempre che tale violazione si aggiunga ai vizi propri dell'aggiudicazione, diminuendo le possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento.
Coerente con tale ermeneutica è pure l'art. 122 del c.p.a., che disciplina l'inefficacia del contratto nei casi diversi da quelli contemplati dall'art. 121, ma sempre ricollegandola all'annullamento dell'aggiudicazione definitiva.
L'esegesi delle norme nel senso anzindicato è peraltro coerente con l'esigenza di tutela che si pone la direttiva comunitaria di riferimento e che è stata recepita dal legislatore nazionale: il termine dilatorio è servente alla tutela giudiziale ed all'effettività della pronuncia che accoglie il ricorso per vizi nell'aggiudicazione e, dunque, al di fuori di queste ipotesi di tutela, la sua violazione non giustifica l'annullamento dell'aggiudicazione medesima, nè tantomeno la dichiarazione di inefficacia del contratto (TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I 20 ottobre 2010, n. 942). |