Consiglio di Stato: la dichiarazione del socio di maggioranza


La sezione V del Consiglio di Stato (sentenza 30 agosto 2012 n. 4654) affronta la questione interpretativa dell’articolo 38 del Codice laddove fa riferimento all’obbligo di dichiarazione del “socio di maggioranza”.

 

Nel caso di specie, i il Consiglio di Stato non condivide quanto affermato dal Giudice di primo grado, per il quale "il comma 1, lett. b), del ridetto art. 38 – nella versione risultante dalle modifiche introdotte con il d.l. n. 70/2011 - nel riferirsi al "socio di maggioranza", con l'impiego del singolare, allude esclusivamente a colui che "è proprietario, in forma diretta, del 50% + 1 del capitale", perché solo in questo caso è configurabile "una posizione di prevalenza tale da riconoscergli una sostanziale capacità di gestione della società", derivantegli dalla possibilità di imporre sempre la propria volontà "in termini decisionali positivi"; situazione che per contro – secondo il Giudice di primo grado - non è riscontrabile in caso di suddivisione perfettamente paritaria del capitale sociale.".

 

I giudici di Palazzo Spada ritengono, al contrario, che "il socio titolare del 50% del capitale è certamente in grado di far valere la propria posizione nella direzione dell'impresa societaria, in particolare in quella a responsabilità limitata, come si ricava da una piana lettura delle disposizioni del codice civile (..) ; - a quest'ultimo riguardo, si appalesa decisivo l'art. 2479-bis, nel cui III comma sono fissati i quorumcostitutivi e deliberativi dell'assemblea, in ogni caso mai superiori alla "metà del capitale sociale"; - ne consegue che il titolare di tale porzione del capitale sociale è in grado di assumere tutte le decisioni necessarie al funzionamento della società, risultandone quindi smentito l'assunto, pur pregevolmente argomentato, su cui si impernia il contrario avviso del Giudice di primo grado, e cioè che il possesso del 50% del capitale conferisce al relativo titolare meri poteri di condizionamento negativo in ordine alle scelte di gestione della società. (..)

 

La titolarità dei poteri di gestione attiva che deve invece annettersi alla titolarità di una tale porzione di capitale è evidentemente tale da indurre a ritenere che ad essa si attagli la disposizione del codice dei contratti pubblici su cui si controverte in questo giudizio-art. 38, comma 1, lett. b)-, poiché è proprio in funzione della sostanziale direzione dell'impresa societaria che può spiegarsi l'estensione dei doveri dichiarativi in ordine ai requisiti di affidabilità morale nei pubblici appalti al soggetto formalmente privo di cariche amministrative".