Con Comunicato a firma del Presidente Raffaele Cantone, in data 24 novembre 2014, l’ANAC ha riportato gli esiti delle verifiche preliminari effettuate sulle varianti in corso d’opera trasmesse dalle Stazioni Appaltanti in applicazione dell’art. 37 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90.
Trattasi di varianti per le quali non erano previsti i limiti di importo successivamente introdotti in sede di conversione, avvenuta, con modificazioni, con la legge 11 agosto 2014, n. 114 (varianti disposte nell’ambito di appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria e di importo eccedente il 10% l’importo del contratto).
Nelle more della conversione in legge sono pervenute n. 277 varianti.
Le valutazioni riportate nel Comunicato di cui occupa sono il frutto della analisi di un campione di n. 90 varianti per le quali l’ANAC ha proposto o l’archiviazione o l’approfondimento istruttorio, con richiesta di ulteriori informazioni alle stazioni appaltanti.
Di seguito si riportano testualmente le principali criticità rilevate:
1) Carente istruttoria sull’ammissibilità della variante – Motivazioni non coerenti
Come noto, nell’esecuzione dei lavori pubblici, al fine di tutelare l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera nei modi e al costo pattuito nel contratto iniziale, la variante in corso d’opera è ammessa soltanto nei casi tassativamente elencati dall’art. 132 del Codice.
Per dare concreta attuazione a tale previsione normativa, è demandato al responsabile del procedimento l'accertamento delle cause, delle condizioni e dei presupposti che a norma dell’articolo 132, comma 1, del codice consentono di disporre varianti in corso d’opera.
Questi vi deve provvedere «con apposita relazione a seguito di approfondita istruttoria e di motivato esame dei fatti».
In particolare, la norma definisce nel dettaglio i contenuti di tale istruttoria con riguardo ai casi di varianti per «cause impreviste ed imprevedibili» (art. 132 comma 1 lett. b) e di varianti per “eventi inerenti alla natura e specificità dei beni su cui si interviene” (art. 132 comma 1 lett. c).
E’ chiarito che l’analisi del RUP deve riguardare la sussistenza di tutti i presupposti che qualificano la variante come indotta da forza maggiore, ossia la necessità della modifica progettuale, la non imputabilità alla stazione appaltante della situazione di fatto, la sua imprevedibilità, nonchè, in relazione alle varianti ex lett. c), l’attinenza dell’evento alla specificità del bene.
L’istruttoria del responsabile del procedimento sull’ammissibilità della variante si pone quindi come il perno del sistema di regolamentazione delle modifiche contrattuali statuito dal Codice dei contratti pubblici, in derivazione dalla legge quadro sui lavori pubblici l. 109/94 (cd. legge Merloni).
Nondimeno, dall’esame dei casi concreti è stato riscontrato che spesso la relazione del Rup, trasmessa all’ANAC ai sensi dell’art. 37 del d.l. 90/2014, è carente rispetto ai contenuti previsti dalla norma, in quanto la classificazione della variante nelle diverse casistiche di cui all’art. 132 è espressa con proposizioni meramente assertive e non è adeguatamente dimostrata con riferimento a circostanze di fatto, né sono chiariti i motivi per cui dette circostanze non fossero prevedibili al momento della progettazione.
In questo senso, un’istruttoria incompleta o superficiale da parte del RUP si traduce direttamente in un difetto di trasparenza dell’attività amministrativa, in quanto non sono ripercorribili le motivazioni della stazione appaltante nell’approvazione della variante.
Inoltre, al di là dei profili di completezza o meno dell’istruttoria, emerge frequentemente un difetto di coerenza delle motivazioni addotte dal RUP a giustificazione della variante: spesso la variante è impropriamente motivata con la sopravvenienza di circostanze imprevedibili, mentre a ben vedere le cause riferite non sembrano possedere i richiesti caratteri di imprevedibilità ed oggettività.
In taluni casi, l’improprio riferimento ad asserite “circostanze imprevedibili” serve a nascondere carenze progettuali, che, ove formalmente accertate, configurerebbero la categoria dell’errore di progettazione ex art. 132, comma 1, lett. e) del Codice, con le relative conseguenze a carico del progettista incaricato e della stessa SA.
In ogni caso, si ritiene che qualora la relazione del RUP riporti circostanze non veritiere o motivazioni palesemente incoerenti con gli elementi di fatto emergenti dagli atti procedimentali, ciò rappresenti sicuramente un elemento di scarsa trasparenza amministrativa sino a integrare, in casi particolari da valutare singolarmente, la fattispecie penalmente rilevante del falso in atto pubblico nonché, nel momento in cui detta relazione è trasmessa all’ANAC ai sensi dell’art. 37 del d.l. 90/2014, gli estremi per l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 6, comma 11, del Codice.
2) Varianti “in sanatoria”
E’ stata riscontrata più volte la ricorrenza di varianti approvate di fatto dopo l’esecuzione dei relativi lavori, talvolta addirittura in concomitanza dell’ultimazione dei lavori, al fine di regolarizzare le opere eseguite in sede di chiusura della relativa contabilità.
In alcuni casi si tratta di varianti “di assestamento” senza aumento di costo, volte ad autorizzare soltanto una diversa distribuzione degli importi tra le varie categorie di lavori.
La condotta rilevata è comunque in contrasto con l’art. 162, comma 1, del d.p.r. 207/2010 che prescrive che tutte le varianti al progetto a base d’appalto devono essere disposte dal direttore dei lavori e preventivamente approvate dalla stazione appaltante.
La libertà del direttore dei lavori di disporre modifiche progettuali è limitata, come noto, agli interventi (cd. varianti non varianti) volti a risolvere aspetti di dettaglio, che non comportino un aumento dell’importo del contratto stipulato.
Deve trattarsi, inoltre, di modifiche che comportano spostamenti tra le varie categorie di lavori, di entità contenuta entro il 5% dell’importo contrattuale (10% per lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro) (3).
Si rammenta che l’esecuzione di lavori non regolarmente autorizzati nonchè la loro approvazione postuma determinano peculiari conseguenze a carico dei soggetti coinvolti.
Difatti, premesso che le modifiche progettuali introdotte senza l’approvazione della SA sono da considerarsi arbitrarie e non danno titolo all’appaltatore al pagamento dei lavori non autorizzati, si configura, altresì, la responsabilità del direttore dei lavori e dei suoi coadiutori dei danni derivati alla stazione appaltante per aver ordinato, o anche per non aver impedito, l’esecuzione di lavori in variante senza la preventiva autorizzazione dell’organo competente.
Dal canto suo, il responsabile del procedimento, rendendosi disponibile a proporre - o a disporre, nei casi di cui all’art. 161 comma 10 del d.p.r. 207/2010 - l’approvazione ex post dei lavori in variante, finisce per declinare alle proprie funzioni di controllo sulla conformità e coerenza del progetto in esecuzione e sulla sua copertura finanziaria, nonché ai propri compiti di vigilanza sull’ammissibilità delle varianti in corso d’opera, incorrendo nelle conseguenti responsabilità erariali e disciplinari.
3) Errore di progettazione
Per quanto la fattispecie della variante per errori o omissioni del progetto esecutivo, ex art. 132, comma 1, lett. e), del codice non sia tra quelle soggette a trasmissione all’ANAC ai sensi dell’art. 37 del d.l. 90/2014, in alcuni casi l’esame degli atti pervenuti dà evidenza che varianti formalmente riferite ad altre motivazioni sono in realtà riconducibili all’esigenza di sanare carenze progettuali.
In particolare, accade spesso di rilevare, in varianti pur determinate da sopravvenienze oggettive, che queste sarebbero state prevedibili con l’uso dell’ordinaria diligenza in sede di progettazione.
Ciò avviene, ad esempio, per le modifiche dirette ad adeguare il progetto a scoperte geologiche o archeologiche, nel caso in cui non siano state adeguatamente condotte le indagini e gli studi preliminari necessari alla piena conoscenza dei luoghi. In tali casi, la variante andrebbe qualificata come derivante da errore progettuale in quanto in rapporto di causalità con l’attività del progettista.
Nel complesso, dalla documentazione acquisita è ravvisabile una tendenza delle stazioni appaltanti a dissimulare l’errore di progettazione entro altre tipologie di varianti, verosimilmente in ragione delle conseguenze che l’accertamento esplicito da parte del RUP di un difetto di progettazione fa discendere sul progettista, sul verificatore e sulla stessa stazione appaltante (v., inter alia, art. 132 commi 2, 4, 5 e art. 122 comma 4bis del Codice,art. 159 comma 2 dpr 207/2010).
Sebbene sia previsto che i costi a suo carico debbano, alla fine, trovare ristoro nella garanzia del progettista, è indubbio che la dichiarazione di errore progettuale determina in qualche misura l’aggravamento del procedimento e l’introduzione di un' alea che l’amministrazione sopporta malvolentieri, anche a causa della carenza di professionalità e competenze tecniche adeguate a svolgere un accertamento talora complesso e delicato, frequentemente oggetto di contenzioso con l’istituto assicurativo che ha prestato la garanzia.
Si dà il caso, altresì, di carenze progettuali che determinano l’esigenza/convenienza di migliorare il progetto, ma non sono tali da configurare gli estremi per l’introduzione di una variante ex art. 132 comma 1 lett. e).
Si rammenta, infatti, che tale disposizione prevede il ricorso alla variante esclusivamente «per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione» .
4) Variazioni falsamente migliorative
Si dà il caso, talvolta, di varianti qualificate come migliorative, introdotte «nell’esclusivo interesse della stazione appaltante». Tali varianti sono approvate a parità di costo o con contenuti scostamenti rispetto al contratto iniziale, con generico riferimento alle fattispecie di cui all’art. 132, comma 1, lett. b) secondo periodo, o comma 3 secondo periodo del codice dei contratti, ovvero ai sensi dell’art. 162, comma 3, del regolamento 207/2010, senza tuttavia che sia adeguatamente dimostrata la sussistenza delle altre condizioni previste per il ricorso a tali tipologie di varianti (rispettivamente: 132.1.b. - intervenuta possibilità di utilizzare nuovi materiali e tecnologie; 132.3. - sopravvenienza di circostanze oggettive e imprevedibili; 162.3 reg. - che la variante non riduca le prestazioni qualitative e quantitative stabilite nel progetto stesso e mantenga inalterate il tempo di esecuzione dei lavori e le condizioni di sicurezza dei lavoratori).
Tuttavia, ciò che maggiormente rileva, all’esame degli atti, è l’insufficiente riscontro del carattere migliorativo delle varianti. In effetti, le modifiche introdotte non sono sempre dirette a migliorare il progetto, ma sembrano talora comportare una sensibile riduzione della qualità complessiva della realizzazione.
Si può riscontrare, ad esempio, la sostituzione, a parità di costo complessivo, di materiali e tecnologie di progetto con altre meno pregiate e performanti, tale da incidere sul livello prestazionale dell’opera o delle sue componenti. In certi casi, tali operazioni possono nascondere lo scopo di favorire l’impresa, come nel caso della sostituzione di lavorazioni poco remunerative con altre che permettono di lucrare utili più consistenti.
Parimenti, anche modifiche meramente quantitative di alcune categorie di lavori approvati frequentemente si traducono in un significativo abbassamento del livello prestazionale dell’opera progettata.
Inoltre, dato che la dizione di variazione migliorativa è di norma associata alle varianti a parità di costo o in diminuzione, giova rilevare che il contenimento dell’importo complessivo viene spesso realizzato compensando le maggiori spese connesse all’introduzione di lavori aggiuntivi o di nuovi prezzi tramite la riduzione delle quantità o lo stralcio integrale di altre lavorazioni.
La variante realizza così una sorta di ri-progettazione dell’intervento in corso d’opera attraverso l’introduzione di lavori non previsti nel progetto originario e, a compensazione, la contemporanea eliminazione di altri.
Ove i lavori stralciati risultano comunque necessari al perfezionamento dell’opera come prevista dal progetto iniziale, la loro esecuzione viene di regola rinviata ad un successivo appalto, eventualmente destinato ad essere affidato in via diretta allo stesso appaltatore.
L’introduzione di una variante in diminuzione, pertanto, non è sempre sinonimo di un risparmio per l’amministrazione laddove la modifica delle lavorazioni comporta uno scadimento della qualità dell’opera nel suo complesso o il suo frazionamento in più appalti.
Per garantire la coerenza all’impostazione progettuale iniziale, la norma prevede che la variante sia valutata dal Responsabile del procedimento, «sentito il progettista e il direttore dei lavori ».
Sotto questo profilo, anche al fine di evitare le distorsioni sopra menzionate, sarebbe utile che le relazioni del RUP sull’ammissibilità della variante dessero conto dettagliatamente delle osservazioni del progettista sui lavori in variante, in particolare per le modifiche qualificate come migliorative.
5) Variazioni in diminuzione proposte dall’impresa
Una considerazione specifica merita la variante migliorativa che comporta una riduzione di spesa adottata su proposta dall’impresa, ai sensi del predetto art. 162 comma 3 e segg. del d.p.r. 207/2010.
Per tali varianti, i capitolati speciali possono stabilire che le economie risultanti dalla proposta migliorativa approvata siano ripartite in parti uguali tra la stazione appaltante e l’esecutore.
Nella pratica, è stato riscontrato spesso che le modifiche proposte non sono causate dalla sopravvenienza di circostanze oggettive ed imprevedibili, ma possono essere ricondotte a soluzioni progettuali già perseguibili nell’originaria redazione.
La corresponsione del 50% delle economie all’appaltatore si configura, pertanto, quale maggiore spesa che poteva essere evitata con una migliore e più attenta progettazione, con evidenti profili di danno per la stazione appaltante.
6) Non coerenza tra la consistenza della variante e i tempi aggiuntivi concessi
In alcuni casi si riscontra che in sede di variante è concessa una proroga dei tempi di ultimazione relativamente rilevante, non proporzionata alle entità dei lavori aggiuntivi da realizzare.
Tale modus operandi può essere interpretato come un espediente per concedere all’impresa una più elastica programmazione del cantiere o anche, specie se adottato in prossimità della conclusione dei lavori, per sanare surrettiziamente i ritardi maturati nel corso dell’esecuzione.
Ove detti ritardi sono imputabili all’appaltatore e sono potenzialmente idonei a determinare l’applicazione di penali pecuniarie ai sensi dell’art. 145 del d.p.r. 207/2010 (ovvero la risoluzione del contratto ex art. 136 del codice), la proroga così concessa si traduce in un indebito beneficio economico concesso all’appaltatore.
Di contro, accade talvolta di rilevare che per l’esecuzione delle opere in variante siano assegnati tempi troppo brevi in proporzione ai tempi fissati per l’esecuzione delle opere del progetto originario, tenuto conto del costo e della complessità dei lavori aggiuntivi inseriti in perizia.
In questo senso, la tempistica eccessivamente ristretta dei lavori in variante, specie se approvati in prossimità dell’ultimazione dei lavori, indica che si tratta almeno in parte di variante “in sanatoria”.
7) Assenza di nesso funzionale tra le opere in variante e quelle di progetto
Talvolta i lavori in variante non sono strettamente necessari alla realizzazione del progetto approvato, configurandosi rispetto ai lavori contrattuali come una prestazione ulteriore, eseguibile anche separatamente (cd. lavori extracontrattuali).
Si consideri ad esempio il caso ricorrente dei lavori di manutenzione stradale o su impianti a rete, in cui i risparmi conseguiti nel confronto concorrenziale sono utilizzati – mediante la variante - per manutenere un’altra strada o per realizzare un ulteriore tratto della rete fognaria comunale.
L’approvazione di varianti siffatte appare in contrasto con il principio per cui deve esistere un rapporto di causa ed effetto tra i lavori in variante e la buona esecuzione dell’opera.
Il presupposto necessario di qualsiasi variante è, infatti, l’esistenza di uno stretto nesso di causalità con il contratto principale, tale da renderla necessaria al perfezionamento del contratto stesso che, qualora fosse privato della variante, non potrebbe essere funzionalmente completato.
In assenza di tale collegamento, la modifica introdotta in corso d’opera rappresenta una novazione del contratto finalizzata alla realizzazione di un aliud, e pertanto non è qualificabile come variante progettuale.
Per gli stessi motivi, i lavori aggiuntivi, se privi di nesso sostanziale con quelli del contratto iniziale, ovviamente non potrebbero neanche essere oggetto di un nuovo affidamento allo stesso appaltatore ai sensi dell’art. 57, comma 5, lett. a) del Codice (lavori o servizi complementari).
8) Tempistica della introduzione della variante
Nel corso delle analisi svolte si sono riscontrati casi in cui le varianti sono state disposte immediatamente a ridosso o della consegna dei lavori o della ultimazione degli stessi. Entrambe queste situazioni possono essere indicative di un’applicazione distorta della norma.
Le prime, infatti, possono essere conseguenza di una errata o quantomeno carente attività di progettazione e di valutazione dello stato dei luoghi; al riguardo si evidenziano le responsabilità del direttore dei lavori che, ai sensi dell’art. 155 del d.p.r. 207/2010 è tenuto a verificare la corrispondenza dello stato dei luoghi con il progetto esecutivo e, in caso negativo, sospendere la consegna, avvertire il RUP, indicare importanza e cause delle differenze e, infine, proporre le idonee soluzioni.
Le seconde, come già illustrato, possono essere dettate dalla necessità di regolarizzare e remunerare una serie di lavorazioni ulteriori rispetto al progetto originario già eseguite senza preventiva approvazione (varianti cd. in sanatoria).
9) Utilizzo del ribasso d’asta
È stata inoltre riscontrata la diffusa prassi, ricorrente nel 90% dei casi esaminati, di disporre varianti il cui importo è molto prossimo al risparmio conseguito a seguito del ribasso d’asta offerto dall’impresa aggiudicataria.
In molti casi, la pratica di assorbire il ribasso può non corrispondere direttamente ad interessi illeciti: le Stazioni Appaltanti, specie nell’attuale congiuntura economica caratterizzata dalla difficoltà ad accedere a finanziamenti per la realizzazione di opere pubbliche, trovano conveniente impiegare le economie realizzate in sede di gara per eseguire ulteriori lavori connessi a quelli già affidati in appalto piuttosto che indire nuove procedure di gara.
Ciò si realizza in particolare per le opere a rete, ove le somme a disposizione sul quadro economico sono spesso utilizzate per realizzare o manutenere un ulteriore lotto o un diverso tratto di strada o fognatura.
La numerosità dei casi riscontrati sembra però dimostrare un’indiscriminata disponibilità degli organi tecnici delle stazioni appaltanti nel concedere all’appaltatore il recupero del ribasso d’asta.
Si potrebbe perciò verificare - specialmente nei casi di appalti affidati a mezzo di procedura negoziata o in economia con operatori economici selezionati a rotazione - che l’operatore economico abbia, in qualche modo, la fondata aspettativa dell’introduzione della variante nel corso dei lavori; in tal caso non avrebbe alcuna remora a presentare elevati ribassi in sede di gara al fine di aggiudicarsi l’appalto, dal momento che tali ribassi verrebbero comunque compensati in un secondo momento in sede di perizia.
In tal caso, è evidente che ciò comporta una distorsione della concorrenza, alterando il regolare funzionamento dei meccanismi di scelta del contraente, dal momento che le procedure di affidamento finiscono per selezionare non l’operatore economico più efficiente ed affidabile ma quello meglio informato o con maggiore capacità di influenza sulle scelte della SA.
Si ritiene, pertanto, di richiamare le stazioni appaltanti alla necessità di calibrare la perizia di variante alle effettive esigenze di revisione del progetto ai fini della realizzabilità dell’opera, anche nel caso di importi aggiuntivi modesti.
Al fine di arginare le distorsioni sopra evidenziate, gli organi decisionali delle stazioni appaltanti potrebbero accentuare il controllo sull’uso delle “somme a disposizione” provvedendo a rimodulare il quadro economico dopo l’aggiudicazione, con espunzione delle economie da ribasso di gara, in modo da sottrarre queste somme alla gestione autonoma del Responsabile del procedimento in applicazione dell’art. 161 comma 9 del d.p.r. 207/2010.
Preso atto che, di contro, nella documentazione delle varianti esaminate è stata per lo più rilevata l’invarianza del quadro economico di progetto dopo l’aggiudicazione dell’appalto.
10) Variazioni sostanziali
Un ulteriore criticità riscontrata di frequente è costituita dalle varianti che – anche quando non comportano notevoli incrementi di spesa - di fatto introducono nuove categorie generali e/o speciali e numerosi nuovi prezzi rispetto a quanto previsto dal contratto originario, ovvero modificano in maniera molto consistente le quantità delle lavorazione già previste in progetto.
Anche in questo caso si palesano profili di una possibile alterazione della concorrenza, dal momento che, in effetti, si va a realizzare un’opera sostanzialmente differente da quella sulla quale è stato svolto il confronto concorrenziale.
In questo senso, la soppressa AVCP ha più volte chiarito che la variante deve necessariamente avere carattere accessorio rispetto all'opera progettata e contrattualmente stabilita, in quanto in caso contrario si è in presenza non già di una modificazione del progetto, ma di un nuovo contratto (determinazione 1/2001).
E’ stato, altresì, chiarito che la connotazione di sostanzialità o meno di una variante nel settore dei contratti pubblici deve essere determinata caso per caso e non può, a priori, farsi un'elencazione squisitamente tecnica di quali modifiche siano da considerare varianti sostanziali e quali no.
L'evenienza di una variante sostanziale non va, infatti, legata ai singoli aspetti tecnici delle modifiche progettuali apportate, bensì agli effetti che tali variazioni avrebbero potuto avere, se già presenti o comunque note, sulle offerte fatte dagli altri concorrenti che al tempo hanno partecipato alla gara d'appalto.
Ciò in quanto vanno salvaguardati i principi di concorrenza e parità di condizioni che altrimenti risulterebbero lesi dal mutamento sostanziale, per importo o entità, del progetto dell'opera posto a base della gara ad evidenza pubblica (Tar Campania, sez. I, 27 marzo 2002, n. 1654).
In questo senso, va senz’altro tenuto conto degli effetti della modifica introdotta rispetto alle categorie e classifiche di qualificazione indicate nel bando per la scelta del contraente.
L'impossibilità di introdurre modifiche essenziali alla natura dei lavori oggetto dell'appalto è, peraltro, espressamente sancita dall’art. 161 comma 16 del d.P.R. 207/2010.
Si rammenta, altresì, che in base alla stessa norma, indipendentemente se sia o meno integrata la fattispecie soggetta a divieto e alterato l’importo complessivo del contratto, le variazioni che determinano rilevanti modifiche (oltre il quinto del corrispondente valore originario) nei vari “gruppi di categorie ritenute omogenee” definite dal capitolato speciale d’appalto, sì da produrre un notevole pregiudizio economico all’esecutore, generano per questi il diritto ad un equo compenso.
11) Commistione tra varianti e opere di completamento
Nel corso dell’analisi effettuata sono emersi anche casi in cui i nuovi interventi da introdursi sono stati in parte inseriti in una perizia di variante, in parte commissionati allo stesso appaltatore come lavori complementari ai sensi dell’art. 57, comma 5 lett. a) del Codice.
A parte ogni considerazione sulle differenti motivazioni che giustificano il ricorso a questi due istituti normativi, si rileva che questo modo di procedere potrebbe essere inteso come un frazionamento volto ad aggirare i limiti di carattere qualitativo e quantitativo posti dalla normativa a presidio degli istituti medesimi. |