Consiglio di Stato: le previsioni delle direttive comunitarie in tema “in house pluripartecipato”


Si segnala un’interessante pronuncia del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato sez. III 27 aprile 2015 n. 2154) sul controverso tema degli affidamenti “in house pluripartecipato”.

 

Secondo i giudici di legittimità, i requisiti individuati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale perché possa farsi luogo ad affidamento in house sono:

- la totale partecipazione pubblica (con divieto di cedibilità a privati); - l’esclusività (destinazione prevalente dell’attività a favore dell’ente affidante);

- il controllo analogo (esercizio di influenza decisiva sugli indirizzi strategici e sulle decisioni significative del soggetto affidatario, tale da escludere la sostanziale terzietà dell'affidatario rispetto al soggetto affidante).

 

A proposito nell’in house pluripartecipato, le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;

b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;

c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.

 

Principi, questi, oggi codificati all’art. 12 della direttiva appalti 2014/24/UE che, sebbene non sia stata ancora recepita (essendo ancora in corso il termine relativo per l'incombente), appare di carattere sufficientemente dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua concreta attuazione.

 

Secondo la giurisprudenza comunitaria, nel caso di pluripartecipazione, è necessario che il singolo socio possa vantare una posizione più che simbolica, idonea, per quanto minoritaria, a garantirgli una possibilità effettiva di partecipazione alla gestione dell’organismo del quale è parte; sicché, una presenza puramente formale nella compagine partecipata o in un organo comune incaricato della direzione della stessa, non risulterebbe sufficiente.

 

La prassi conosce svariati meccanismi, fondati ora sulla nomina diretta e concorrente di singoli rappresentanti (uno per ogni socio) in seno al consiglio di amministrazione della società; ora sulla partecipazione mediata agli organi direttivi attraverso la nomina da parte dell’assemblea di consiglieri riservati ai soci di minoranza.

 

Valida alternativa è offerta dagli strumenti di carattere parasociale, che operano attraverso la predisposizione di organismi di controllo, costituiti dai rappresentanti di ciascun ente locale, muniti di penetranti poteri di verifica preventiva sulla gestione dell’attività.

 

Infine, il controllo deve essere esercitato non solo in forma propulsiva ma anche attraverso l’esercizio - in chiave preventiva - di poteri inibitori.