Con parere in data 18 febbraio 2015 n. AG/08/2015/AC, l’ANAC ha reso indicazioni in ordine all’interpretazione e alle modalità di attuazione delle misure di prevenzione della corruzione di monitoraggio dei rapporti tra l’amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici (art. 1, comma 9, lett. e) della l. n. 190/2012) e della clausola anti pantouflage di cui all’art. 53, comma 16 ter del d.lgs. n. 165/2001 (art. 1, comma 42, lett. l) della l. n. 190/2012).
Secondo l’Autorithy, il conflitto di interessi è una condizione che si verifica quando risulta, anche potenzialmente, compromessa l’imparzialità richiesta al dipendente di una pubblica amministrazione, che, nell’esercizio del potere decisionale, può interporre interessi personali o professionali in conflitto con interessi pubblici.
Il verificarsi di un conflitto di interessi non costituisce la prova certa che siano stati commessi illeciti ma può, tuttavia, rappresentare un’agevolazione nel caso in cui si cerchi di influenzare il risultato di una decisione non più preordinata al perseguimento di un interesse della p.a. ma al raggiungimento di un beneficio di un soggetto privato.
Inoltre, proprio l’assenza di una apparato sanzionatorio a supporto dell’effettività delle norme in tema di conflitto di interessi hanno conferito una valenza simbolica e operativa alle previsioni della legge n. 190/2012 sul tema in esame e hanno voluto, tuttavia, rafforzare in tal modo il perseguimento delle finalità pubbliche di prevenzione della corruzione.
Ne consegue la legittimità delle dichiarazioni, previste dall’amministrazione istante, sull’inesistenza di relazioni di parentela o affinità tra i propri dipendenti e dirigenti e i soggetti facenti parte delle imprese con le quali la stessa stipula contratti.
La norma di cui all'art. 53, c.16-ter, DLgs. 165/2001, anche essa con finalità di prevenzione, mira a ridurre il rischio di situazioni di corruzione connesse all’impiego del dipendente successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro.
Si intende, dunque, evitare che, durante il periodo di servizio, il dipendente stesso possa precostituirsi delle situazioni lavorative vantaggiose sfruttando la sua posizione e il suo potere all’interno dell’amministrazione per ottenere un lavoro presso il soggetto privato in cui entra in contatto.
Ai fini di individuare l’ambito di applicazione della norma, occorre sottolineare che la stessa è riferita espressamente ai dipendenti nel senso più ampio del termine tale da ricomprendere anche i soggetti legati alla p.a. da un rapporto di lavoro a tempo determinato o autonomo.
È quanto chiarito, peraltro, dall’art. 21 del d.lgs. n. 39/2013 che ha inteso ampliare la sfera dei destinatari dell’art. 53, comma 16 ter del d.gls. n. 165/2001 anche i soggetti esterni con cui la p.a. stipula contratti di lavoro di diritto privato.
Il PNA ha previsto l’inserimento della condizione soggettiva di cui alla citata norma nei bandi di gara o negli atti prodromici agli affidamenti e la sanzione dell’esclusione dalle procedure di affidamenti, anche mediante procedura negoziata nei confronti dei soggetti per i quali sia emerso il mancato rispetto del requisito previsto dalla norma (Par. 3.1.9 del PNA). In conformità a quanto sopra, peraltro, nel bando-tipo n. 2 del 2 settembre 2014, l’Autorità ha espressamente previsto l’introduzione, tra le condizioni ostative alla partecipazione, oggetto poi di specifica dichiarazione da parte dei concorrenti, del divieto ope legis di cui all’art. 53, comma 16 ter del d.lgs. n. 165/2001.
Come noto, ai sensi dell’art. 64, comma 4-bis del d.lgs. n. 163/2006, il bando tipo adottato dall’Autorità costituisce un modello di riferimento sulla base del quale le stazioni appaltanti sono tenute a redigere la documentazione di gara per l’affidamento dei contratti pubblici, potendo discostarsene esclusivamente in presenza di una motivata deroga.
Sussiste dunque l’obbligo, per le stazioni appaltanti, di rispettare le prescrizioni e le indicazioni contenute nei bandi-tipo adottati dall’Autorità nelle procedure di scelta del contraente, ivi inclusa l’introduzione nella lex specialis di gara, della specifica previsione ostativa di cui al citato art. 53, comma 16 ter del d.lgs. n. 165/2001.
Dalle considerazioni che precedono deriva, quindi, la legittimità anche dell’inserimento delle clausole in tema di divieto di pantouflage come sopra riportato.
Si tratta, infatti, di una clausola avente lo scopo di realizzare i fini di cui alla l. n. 190/2012
La dichiarazione del legale rappresentante in ordine a tali clausole, al di là della specifica formulazione letterale, non può che essere resa se non nel senso di attestare informazioni di cui lo stesso ha conoscenza perché rese dal dichiarante (con le connesse responsabilità per dichiarazioni false) oppure perché ottenute sulla base di certificazioni rese dalle pubbliche amministrazioni, sulle quali comunque le stesse possono riservarsi l’esercizio di poteri di verifica in ordine alla sussistenza dei requisiti.
È in questo senso, dunque, che deve essere, intesa la diretta conoscenza.
La legge n. 190/2012, pur non prescrivendo specifiche modalità di verifica, rimette al Responsabile della prevenzione della corruzione il controllo dell’efficienza delle misure del piano e, dunque, anche della specifica esigenza di cui all’art. 1, comma 9, lett. e) della legge anticorruzione.
E, infatti, alla verifica dell’efficace attuazione del piano e della sua idoneità, nonché a proporne la modifica quando sono accertate significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività dell’amministrazione, provvede il RPC, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, comma 10 della citata legge. |