La facoltà di continuare il rapporto con imprese, nonostante il collegamento delle stesse con organizzazioni malavitose, prevista dall’articolo 94 del d.lgs. n. 159 del 2011, è ipotesi - data l'evidente ratio di pieno sfavore legislativo alle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici - remota e residuale, e dunque consentita al solo fine di tutelare l'interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza in relazione a circostanze particolari, quali il tempo dell'esecuzione del contratto o la sua natura, o la difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene ad esecuzione ampiamente inoltrata.
Lo afferma il TAR Abruzzo Pescara sez. I 4 gennaio 2016 n. 1, richiamando un precedente di legittimità (Consiglio di Stato, sentenza n. 197 del 2012) ed evidenziando che la stazione appaltante, mentre può richiamare l'informativa a supporto della decisione di risolvere il contratto, senza addurre particolari giustificazioni, ha viceversa il dovere di motivare adeguatamente nel caso in cui, nonostante la presenza di un inquinamento mafioso, l'interesse pubblico alla completa esecuzione del contratto è così pregnante da legittimare un'impresa sospetta ad effettuare lavori pubblici (in tal senso Tar Napoli, sentenza n. 860 del 2014).
La pronuncia conclude rilevando che, viceversa, nel caso di cui all’articolo 32 del d.l. n. 90 del 2014, la valutazione non è rimessa alla Stazione appaltante e non riguarda la scelta se far completare o meno l’appalto ad un’impresa in cui sussistono infiltrazioni mafiose; si tratta di una valutazione che è viceversa rimessa al Prefetto e riguarda una misura che mira a sterilizzare tale condizionamento mafioso, consentendo così una gestione da esso immune, che priva quindi le stazioni appaltanti del potere di recedere sulla base del mero presupposto dell’interdittiva antimafia. |